Poterono
questi ultimi, in tal modo, vedere con gli occhi di Judh,l’androide
steso dentro la sua bara trasparente così incredibilmente umano, nudo e
con la parte destra del cranio parzialmente sfondata dal crollo della
volta. Era alto circa un metro e ottanta, la sua pelle sembrava aver
perso elasticità ed era solcata da numerose rughe o meglio crepe; aveva
i capelli corti e biondi, il viso squadrato da zigomi alti ed il solo
occhio sinistro aperto.
-
Puoi sentirmi? – domandò Judh
L’androide
emise un ronzio sommesso poi gracchiò qualcosa, fece un breve pausa ed
infine parlò:
-
Si…signore…Posso sentirla. – esordì con voce leggermente
metallica.
-
Sei danneggiato?
-
Si…signore. Il flusso…positronico del mio cervello…non è
stabile…gravemente danneggiato…Non posso garantire il mio
perfetto… funzionamento.
Judh
notò subito che il linguaggio che parlava era una forma molto arcaica
di galattico standard
-
Capisco. Riesci a muoverti?
-
No…tutte le mie energie sono indirizzate a…mantenere la stabilità
del flusso positronico…Devo preservare il mio…funzionamento.
Judh,
a quel punto, salì sul tavolo dove era alloggiata la cassa in modo tale
da permettere all’androide di guardarlo senza cercare di girare la
testa.
-
Chi sei?
-
Mi chiamo…Delonius e sono un androide…dell’istituto di Robotica di
Eos.
-
Eos?
-
Si…centro urbano, capitale del pianeta Aurora.
Judh
non aveva mai sentito nominare un pianeta con quel nome e data
l’evidente vetustà di quell’essere cercò di capire quanto fosse
vecchio.
-
In che anno sei stato costruito?
-
La mia prima…attivazione risale al 4.742…anno domini.
Anno
domini? Probabilmente, pensò, doveva essere un tipo di datazione in uso
nell’epoca pre-imperiale e di cui, quasi sicuramente si era persa
traccia. Cercò di fare un altro tentativo per stabilire un periodo
approssimativo, in caso di insuccesso avrebbe stabilito la data di
provenienza dell’androide con il suo datario molecolare.
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