Quella era l’ennesima stranezza a cui aveva modo di assistere ma subito dopo si ricordò che aveva programmato il computer per compiere due microbalzi e che al momento dell’entrata nell’atmosfera gliene restava da compiere un altro e quindi, molto probabilmente, quel lampo di cui era stato testimone poteva significare che la Palver aveva eseguito il secondo microbalzo in programma andando a finire chissà dove.

 

Si trovava a ventimila metri d’altezza e scendeva ad una velocità di quattrocento chilometri all’ora con i retro propulsori del guscio che andavano gradualmente rallentando quest’ultimo in modo da consentirgli un atterraggio morbido.

Judh analizzò la zona in cui stava atterrando, rilevò la presenza di probabili centri abitati e provvide subito ad indirizzare il guscio verso una zona apparentemente disabitata nella speranza di tenersi alla larga da occhi indiscreti, almeno finché non avesse capito su quale pianeta fosse atterrato.

Nei minuti che trascorsero durante la fase di discesa Judh cercò ostinatamente di spiegarsi come, un pianeta all’apparenza radioattivo, fosse diventato di punto in bianco abitabile, forse una tecnologia utilizzata dai terrani o terrestri per nascondersi al resto della galassia…pensò…questo darebbe un senso alle molte leggende sulla Terra… ma poi, come la classica scintilla che scocca senza sapere come, un’idea gli balenò nella testa, un’idea che per quanto balzana era pur sempre teoricamente possibile.

Un brivido gli attraversò la schiena al solo pensiero di ciò che poteva essere.

Il sogno di ogni archeologo, dopotutto, era quello di scoprire come tutto abbia avuto inizio, come si era evoluto e Judh, in quel momento, capì che probabilmente quel sogno poteva essersi avverato ma…non nel modo che avrebbe mai potuto immaginare.

  

Interludio

Rapporto dalla regione di Krasnojarks.

Questa mattina, verso le ore 7,00, il cielo è stato illuminato per un raggio di seicento chilometri da una scia di fuoco la quale ha provocato un’immane esplosione a circa quaranta chilometri a nord di Vanavara, in prossimità del fiume Jenisej.

In questa zona ora non c’è in vista alcuna foresta, tutto è stato devastato e bruciato.

Si conta che circa ottanta milioni di alberi siano andati distrutti, su di un’area di circa cinquemila chilometri quadri.

Ai confini della zona colpita gli alberi sembrano volerla fuggire, protendendosi verso l’esterno. Molti cavalli e renne sono morti a causa delle ustioni riportate e, a cinquecento chilometri dall’epicentro dell’esplosione, molti contadini sono rimasti feriti o sbalzati da terra dall’onda d’urto.

Essendo sconosciute le cause della catastrofe la zona è diventata irraggiungibile  a causa della paura e della superstizione dei contadini del luogo.

Si richiede, pertanto, l’invio di una commissione esaminatrice per appurare le cause del disastro e sfatare le superstizioni.

                                                                                              Tunguska, 30 giugno 1908

 

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