- Non solo, mio curioso allievo, lo dice
anche il buon senso. Se terminus utilizzasse la forza per allargare o
contenere la sua influenza nella galassia i pianeti che ne farebbero
parte non avrebbero quella libertà decisionale che oggi hanno. Essendo
sottoposti ad una coercizione sarebbe premura di Terminus tenerli ben
stretti a sé nell’unico modo possibile: negando loro ogni potere
decisionale ed accentrando tutti i poteri. A questo punto la macchina
burocratica dell’impero si concentrerebbe esclusivamente in un unico
punto…. –
- Terminus ! –
-…appunto, e la gestione contemporanea di
milioni di pianeti farebbe, prima o poi, collassare il sistema su se
stesso. –
- Ma se invece…… - si preparò a
controbattere Livanne.
- Per adesso può bastare. – alzò una mano.
– E’ piacevole dibattere su questi argomenti ma credo che ora stiamo
perdendo di vista il problema più incombente. –
- Mi scusi maestro, non intendevo….-
- Non darti pena di questo. La tua è pura
voglia di conoscenza ed è bene che essa ti accompagni per tutta la vita.
–
Guardò il ragazzo davanti a se con una
punta d’invidia per la sua giovane età. L’uomo aveva sessantanove anni e
da ventidue era il cinquantacinquesimo Primo Oratore della Seconda
Fondazione. Per tutto il periodo della sua carica si era sempre attenuto
alla linea di principio promossa cinquecento anni prima da Quindor
Shandess,
il Primo Oratore che affermava: “non fate niente a meno che non
dovete e quando dovete, esitate”. Durante il suo mandato, infatti,
non aveva mai autorizzato missioni che imponessero un intervento deciso
della Seconda Fondazione. Il periodo in cui si era trovato, in un certo
senso, l’aveva aiutato dato che con l’impero ormai diventato realtà le
probabilità di crisi erano sempre più minime. Adesso però, per la prima
volta, si era trovato di fronte ad un bivio netto: intervenire o
lasciare che la storia faccia il suo corso. La psicostoriografia, del
resto, anche se affidabile, era pur sempre una scienza statistica e non
necessariamente le sue previsioni potevano avverarsi. Ma qui doveva
affrontare una variabile imprevista in tutto e per tutto simile a quella
che segnò l’avvento del Mulo, una variabile che, seicento anni prima, fu
inizialmente sottovalutata dai suoi predecessori.
Era questo l’unico
punto debole della loro scienza: essa poteva prevedere il comportamento
di un considerevole gruppo umano, almeno cinquanta miliardi postulò
Seldon, ma non quello di uno o pochi singoli che, se uscivano fuori dai
parametri di comportamento ordinario, potevano avere lo stesso effetto
di un ordigno a deframmentazione in mezzo ad una folla.
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