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Introduzione a “The early Asimov”  - 1972
(undici anni di tentativi)

(liberamente tradotto ed adattato dall’inglese da Andrea Ghilardi – 2006) 

E' la prefazione all'omonima  raccolta dei suoi racconti da esordiente  in cui Isaac Asimov fa luce in maniera sintetica, ironica e  godibilissima sul suo debutto come scrittore, incluso l’incontro fatale con il mitico John Campbell, l’editore che lo ha scoperto, plasmato e lanciato come autore di Fantascienza.

“Benchè io abbia scritto più di centoventi libri (nel 1972), su quasi ogni argomento dello scibile, dall’astronomia a Shakespeare, dalla matematica alla satira, debbo senza dubbio fama e onore alla mia produzione fantascientifica. Cominciai come scrittore di fantascienza, e per i primi undici anni della mia carriera non ho scritto altro, pubblicando a pagamento sulle riviste specializzate d’allora.

Nella mia mente di sempliciotto, non si era mai affacciata l’idea di poter scrivere un vero libro. A suo tempo l’idea arrivò e così cominciai a raccogliere il materiale scritto per le riviste anni prima, cosa che portò alla pubblicazione di ben dieci antologie tra il 1950 ed il 1969 (tutte pubblicate dalla Doubleday). Queste antologie contengono ben ottantacinque storie  (più quattro pezzi umoristici), che furono originariamente pubblicate dalle riviste di fantascienza dell’epoca, di cui, circa un quarto del totale furono scritte in quei primi undici anni. Per la cronaca sono:

            I, ROBOT (1950)

            FOUNDATION (1951)

            FOUNDATION AND EMPIRE (1952)

            SECOND FOUNDATION (1953)

            THE MARTIAN WAY AND OTHER STORIES (1955)

            EARTH IS ROOM ENOUGH (1957)

            NINE TOMORROWS (1959)

            THE REST OF THE ROBOTS (1964)

            ASIMOV’S MYSTERIES (1968)

            NIGHTFALL AND OTHER STORIES (1969) 

Potreste pensare che sono abbastanza, senza però considerare  l’insaziabile appetito dei miei amati lettori, Dio li benedica! Ricevo continuamente lettere di fan che chiedono l’elenco completo delle mie storie “antiche”, per poter cercare le riviste sulle bancarelle e nei negozi dell’usato.

C’è gente che prepara bibliografie complete delle mie opere di fantascienza (non chiedetemi perché…) e che vuole conoscere ogni più minimo dettaglio che le riguardi, e si arrabbiano pure quando scoprono che qualche storia non è mai stata pubblicata e non esiste più. Le vorrebbero a tutti i costi arrivando a dipingere il sottoscritto come un negligente distruttore di risorse naturali!

Così, quando la Panther Book in Inghilterra e la Doubleday negli USA, ritenendole di grande valore, mi suggerirono di fare una raccolta con note  delle mie storie “precoci” non  incluse nelle antologie già pubblicate  potei resistere oltre… Chiunque mi conosca sa che posso resistere a tutto fuorchè all’adulazione, e se pensate che possa resistere a questo tipo d’adulatori per più di mezzo secondo vi sbagliate di grosso!

Fortunatamente tengo un diario, iniziato il primo gennaio 1938, (il giorno prima del mio diciottesimo compleanno), che può fornirmi i dettagli necessari. Il diario all’inizio è quello tipico di un teen-ager, ma presto è degenerato in un semplice resoconto delle mie attività letterarie. E’ talmente noioso per tutti fuorchè me, che pur lasciandolo sempre in giro, chiunque lo apre per carpire chissà quali segreti non riesce ad andare avanti più di una o due pagine. Ogni tanto qualcuno mi chiede se il mio diario non debba essere il ricettacolo dei miei pensieri e sentimenti, la mia risposta è sempre no, mai! Perché mai farei lo scrittore se dovessi relegare i miei sentimenti più profondi in un semplice diario?

Iniziai a scrivere giovanissimo, appena undicenne credo. Perché lo ignoro, potrei dire che fu a causa di un impulso irrefrenabile e inspiegabile. Una delle ragioni può essere stata che ero un avido lettore in una famiglia così povera da non potersi permettere l’acquisto di libri, neanche dei più economici e se non bastasse la mia era quel tipo di famiglia che trova sconveniente leggere libri “economici”.

Così dovetti orientarmi sulla biblioteca pubblica (la prima tessera bibliotecaria me la fece mio padre all’età di sei anni), e tirai avanti così  leggendo al ritmo di due libri a settimana.

Ma ciò non bastava di certo a placare la mia inestinguibile sete di lettura, così all’inizio di ogni anno scolastico mi buttavo impazientemente su i testi scolastici appena ricevuti finendoli tutti nel giro di una settimana, e visto che la natura mi ha donato di una memoria prodigiosa che mi permette di richiamare qualsiasi dettaglio letto istantaneamente, questo mi permetteva di assolvere anche ai miei obblighi scolastici per il resto dell’anno scolastico… ma poi?

Dunque all’età di undici anni, mi venne la pensata che se mi fossi scritto da solo i miei libri, avrei poi potuto rileggermeli a piacimento!Naturalmente non riuscii a completare nessun vero libro, ne cominciavo uno, e lavorandoci sopra in maniera affannosa e  disordinata, questo  cresceva  al punto che, stancatomi, lo abbandonavo per cominciarne un altro. Questi miei primi scritti sono andati completamente perduti, anche se mi ricordo ancora i dettagli narrativi. 

Nella primavera del 1934, presso la mia scuola media (la Boy’s High di Brooklin) frequentai un corso facoltativo d’inglese centrato soprattutto sulla scrittura. L’insegnante era anche uno degli editori della rivista letteraria della scuola che stampava una volta l’anno i migliori lavori degli studenti; naturalmente egli aveva intenzione di farci produrre del materiale adatto alla pubblicazione. 

Fu un’esperienza umiliante, ero un quattordicenne piuttosto ingenuo, così scrissi robetta umoristica di poco valore, mentre gli altri miei compagni (che però erano dei “navigati” sedicenni), scrissero racconti tragici e abbastanza sofisticati. Tra l’altro non nascondevano un certo disprezzo nei miei confronti facendomi soffrire molto e senza poterci fare nulla.

Grande fu la  mia sorpresa (e compiacimento) quando uno dei miei lavori fu scelto per la pubblicazione sulla rivista letteraria annuale della scuola mentre molti dei loro furono scartati!

Sfortunatamente il professore tenne a precisarmi in maniera molto indelicata che il mio lavoro era stato scelto solo  perché era l’unico di taglio umoristico e siccome nella rivista annuale doveva esserci almeno un pezzo che non fosse tragico, non aveva avuto altra scelta…

Il racconto si intitolava “Fratellini”  e parlava dell’arrivo di mio fratello minore cinque anni prima, comunque questo fu in assoluto il mio primo pezzo pubblicato su carta stampata! Penso che si possa ancora trovare sepolto negli archivi della scuola, chissà, io comunque non ne ho nessuna copia.

Talvolta mi chiedo che fine hanno fatto i grandi scrittori drammatici di quel corso, non mi ricordo i loro nomi e non mi interessa, anche se ogni tanto ci penso.

E non fu fino al 29 maggio del 1937 (ho ritrovato un’appunto con quella data, ma fu prima che cominciassi a tenere il diario), che mi sovvenne l’idea  che avrei potuto cominciare a scrivere qualcosa di “professionale”, qualcosa per il quale avrei potuto ricevere del denaro! Naturalmente sarebbe stata una storia fantascientifica, perché ero stato un avido scrittore di fantascienza sin dal 1929, e non riconoscevo altra forma di letteratura degna del mio “sforzo” di scrittore.

 Fu così, che cominciai a scrivere la mia prima vera storia partorita con l’intenzione di diventare uno scrittore “professionista”: era intitolata : “Cosmic Corkscrew” (cavatappi cosmico).
In essa rappresentavo il tempo avvolto su se stesso come una spirale, (tipo molla del letto!). Si poteva viaggiare in avanti nel tempo saltando da una spira a l’altra, ad intervalli precisi. Il protagonista  saltando così, arriva nel futuro e trova la terra deserta, priva di forme di vita, disseminata dalle rovine di una civiltà scomparsa di recente senza lasciare indizi sul perchè di tale disastro.

Il racconto era narrato in prima persona da un manicomio, dove il povero protagonista era stato rinchiuso al  ritorno per aver raccontato la sua storia. Ne scrissi solo poche pagine durante il ’37, poi mi svogliai e lasciai perdere. Il solo fatto che mi ero posto l’obiettivo di pubblicarlo fu la causa del blocco: finchè ciò che scrivevo era destinato solo ai miei occhi potevo lasciarmi andare ma  il pensiero che migliaia (!) di lettori stessero li a pesare parola per parola il frutto delle mie fatiche…orrore! Così l’abbandonai.

Se non fosse che…nel maggio nel 1938, la rivista fantascientifica più importante del settore “Astounding Science Fiction”  spostò la data di pubblicazione dal terzo mercoledì al quarto mercoledì del mese, così quando l’attesissimo periodico non arrivò sprofondai nella depressione più nera.

Dopo qualche giorno d’inutile attesa non potei aspettare oltre e così presi la decisone di recarmi nella 79° strada dove si trovava la sede dell’editore per fare le mie giuste rimostranze! (ho già raccontato questa storia con dovizia di particolari nell’articolo “Ritratto dello scrittore ragazzino”, incluso al capitolo 17 del mio saggio scientifico “Io e i numeri” – Doubleday 1968)

Sinceramente mi ricordavo di aver solo telefonato, ma poi, controllando sul diario scoprii con grande soprpresa che la disperazione mi aveva spinto ad un avventuroso viaggio in metropolitana fino alla redazione di Astounding, dove un impiegato mi aveva gentilmente informato del cambio di data di pubblicazione. Dopo due giorni, il 19 maggio, in effetti la rivista arrivò…

L’aver sfiorato il baratro della disperazione ed il sollievo che ne seguì, stranamente riattivarono il mio desiderio di scrivere e perché no, pubblicare. Così rimisi mano a “Cosmic corkscrew” che il 19 giugno finalmente, fu terminato.
Il racconto c’era, ma adesso non avevo idea di cosa fare, visto che non conoscevo i passi necessari per essere pubblicato e così nessuno dei miei conoscenti. Ne parlai con mio padre il cui sapere del mondo era comunque non molto più ampio del mio, e neppure lui potè aiutarmi.

A quel punto mi ricordai che appena un mese prima mi ero recato nella 79° strada solo per chiarire il mistero della scomparsa di Astounding, perché non ripetere l’impresa allora e consegnare il lavoro di persona?
L’idea era comunque terrificante, ancor più terrificante perché, secondo mio padre, questa volta l’impresa avrebbe richiesto preparitivi preliminari del tipo sbarbarsi e mettersi il vestito migliore!

Ciò implicava perdere un sacco di tempo, il sole era già alto ed io sarei dovuto rientrare nel primo pomeriggio, in tempo per l’arrivo dei giornali  pomeridiani che era mio compito sistemare. (mio padre aveva un’ emporio con edicola, e la vita a quei tempi era dura per uno scrittore di talento, creativo e sensibile come me. Per darvi un’idea il nostro appartamento era formato da alcune camere collegate l’una a l’altra da porte senza un corridoio, così chi si doveva spostare dal soggiorno alle camere da letto dei miei genitori, di mio fratello o di mia sorella, doveva per forza attraversare la mia e ed il fatto che ciò potesse compromettere il mio afflato creativo non disturbava nessuno!) 

Imposi un compromesso: Ok la barba, ma non mi cambiai d’abito e venni via! Era il 21 giugno 1938. Ero convinto che per l’impudenza di presentarmi all’editore così senza preavviso, mi avrebbero buttato fuori di peso, seguito da una pioggia di coriandoli ricavati dal mio povero manoscritto. Mio papà comunque (peraltro di idee un po’ confuse), era fermamente convinto che ad uno “scrittore” (che per lui era chiunque con uno scritto in mano), dovesse essere in ogni caso dato il giusto rispetto dovuto ad un “intellettuale”, non aveva dubbi al proposito anche se ero IO quello che doveva andare…

Così, dissimulando il panico chiesi di vedere l’editore. La segretaria (vedo la scena come fosse ora) parlò brevemente al telefono e disse: “Il signor Campbell la riceverà”. Mi accompagnò in una stanzona, quasi un magazzino, ingombra di enormi rotoli di carta da stampa e pile di riviste, impregnata di quel  paradisiaco profumo di carta straccia che ha il potere di evocare così vividamente i ricordi della mia giovinezza tanto da indurmi alle lacrime per la nostalgia. E là oltre il magazzino, in una stanzetta feci la conoscenza di Mr. Campbell.

John Wood Campbell Jr, che all’epoca aveva solo ventotto anni lavorarava alla  Street & Smith da un anno quando aveva assunto la direzione di Astounding Stories, (subito rinominata Astounding Science Fiction) questo appena due mesi prima del nostro incontro.

Con il suo nome proprio e con lo pseudonimo di Don A. Stuart era già uno dei più quotati scrittori di fantascienza, anche se era in procinto di seppellire la sua reputazione di scrittore sotto  la maggior fama che avrebbe guadagnato come splendido editore.  

Egli sarebbe stato, per più di trenta anni l’editore di Astounding Science Fiction e della successiva Analog Science Fact-Science Fiction, e per tutto questo tempo saremmo rimasti buoni amici ed  io, nonostante che nella mia carriera di scrittore sia poi diventato una specie di star, rispettato e venerato, mai mi sono approcciato a John con niente di meno dell’ammirazione e deferenza inspiratemi nel nostro primo incontro.

Fisicamente imponente, fumava e parlava continuamente, un uomo di forti convinzioni che amava sopra ogni cosa spiazzarti sommergendoti di discorsi e concetti anche offensivi e sfidandoti a controbattere, ed era maledettamente difficile confutare Campbell anche quando le sue idee erano assolutamente ed illogicamente pazze.

John Wood Campbell Jr.

La prima volta parlammo per più di un’ora, mi mostrò le bozze della rivista da pubblicare i mesi successivi, così scoprimmo che nel numero in uscita sarebbe stata pubblicata una mia lettera all’editore e un’altra ancora nel numero dopo, cosa che gli dimostrò la sincerità del mio interesse. 

Mi parlò di lui, del suo pseudonimo e delle sue opinioni. Mi raccontò che quando aveva diciassette anni suo padre aveva inviato un suo lavoro alla rivista Amazing Stories e la rivista l’aveva accettata solo che poi era stato perso in redazione e lui non aveva fatto una copia carbone. (Io su questo almeno ero più avanti, la storia l’avevo portata da me e poi avevo una copia carbone!)

Mi promise che avrebbe letto il racconto e che mi avrebbe risposto per lettera, anche in caso di rifiuto il giorno seguente. Mi promise anche che, in caso di rifiuto mi avrebbe spiegato dove sbagliato in modo da potermi correggere. 

Mantenne la sua promessa, e la risposta arrivò due giorni dopo, il 23 giugno: era un rifiuto. (non dovete sorprendervi che la mia prima storia fu respinta, questo libro parla di vita reale!)

Ecco cosa appuntai a proposito sul mio diario: “9:30, ricevuto indietro Cosmic Corkscrew con una gentile nota a proposito: Non ha gradito l’inizio lento ed il suicidio finale”. Campbell non gradì neanche la narrazione in prima persona e i dialoghi troppo impersonali, inoltre mi fece notare che la lunghezza dello scritto, novemila parole, era eccessiva per un racconto breve e inadeguata per un romanzetto. Le riviste dovevano essere impaginate a tasselli come puzzle e certe lunghezze per le singole storie erano più convenienti di altre.

La gioia di aver passato più d’un ora parlando da pari a pari con colui che al momento era il mio idolo mi aveva comunque galvanizzato spingendo la mia ambizione a scrivere un’altra storia, migliore dell’altra da sottoporre al più presto al suo giudizio. Nella sua gentile lettera, due pagine fitte, John analizzava seriamente il mio scritto senza alcuna traccia di superiorità o paternalismo e questo mi rendeva ancora più determinato. Prima che il giorno fosse finito avevo già in mano la bozza di una nuova storia!

Molti anni dopo chiesi a John (di cui nel frattempo ero diventato intimo amico) perché avesse perso tanto tempo con me visto che la mia storia era veramente pessima.

“la storia era terribile” mi rispose alla sua maniera ruvida così lontana da ogni forma d’adulazione, “ma d’altra parte vidi qualcosa in te, eri così entusiasta e desideroso d’imparare che capii che non avresti mollato, anche di fronte ad altri insuccessi. Capii subito che avremmo lavorato insieme.

Questo era John ed io non ero l’unico scrittore, sia novellino che esperto, con il quale aveva a che fare in quei giorni. Pazientemente e con duro lavoro stava mettendo insieme una squadra di autori di Fantascienza quale il mondo non aveva mai visto fino ad allora.

Cosa sia accaduto a “Cosmic Corkscrew” lo ignoro. Lo abbandonai e non tentai neanche di farlo pubblicare da qualcun altro. Non lo strappai o bruciai e neanche lo buttai via; lo lasciai languire in un cassetto finché ne persi le tracce, ad ogni modo non esiste più.

I miei amici archivisti stanno male al pensiero che la mia opera prima, secondo loro un documento di importanza fondamentale per la mia bibliografia sia irrimediabilmente perduta. Che posso dire ragazzi, come potevo sapere nel 1938 che quel brogliaccio sarebbe assurto al rango di documento storico? Posso essere un mostro di vanità ed arroganza, ma non fino a quel punto, inoltre prima della fine di giugno la mia seconda storia “Stowaway” (Clandestino) era quasi pronta ed io ero concentratissimo su quella.

La consegnai personalmente all’ufficio di Campbell il 18 luglio 1938 e lui ci mise un po’ più a rispondermi, ma la risposta arrivò, ed era un rifuto, il 22 luglio. Il mio diario riporta a proposito:

“E’ la lettera di rifiuto più gentile e vicina all’accettazione che si possa immaginare. Mi scrive che l’idea è buona e lo svolgimento passabile. I dialoghi non sono male (e questa fu una sorpresa piacevole), insomma non c’e quasi niente che non va se non qualche evidente forzatura che contribuisce a dare un’atmosfera “amatoriale” al tutto. La storia non è sufficientemente scorrevole, ma la scorrevolezza, mi scrive, verrà con l’esperienza e mi assicura che sarò probabilmente in grado di vendere le mie storie tra un anno e una dozzina di altri racconti.”

Neanche a dirlo questa lettera di rifiuto mi caricò al massimo spingendomi a scrivere con rinnovato entusiasmo, così cominciai a lavorare alla mia terza storia.

Non solo, ma mi sentii incoraggiato a sottoporre “Stowaway” a qualcun altro. A quei tempi esistevano tre riviste di Fantascienza: Astounding era l’aristocratica, un mensile a carta liscia che le dava un’aria di classe. Le altre due, Amazing Stories e Thrilling Wonder Stories che erano più “primitive” prelidigevano storie più semplici e piene d’azione. Spedii “Stowaway” a Thrilling Wonder Stories, che comunque la respinse immediatamente il 9 agosto 1938 (con un modulo prestampato).

Al momento ero però già impegnato con la mia terza storia che come sappiamo era destinata a miglior destino. In questo libro però sono raccolti i miei racconti in ordine di scrittura e non di pubblicazione il che secondo me è maggiormente significativo dal punto di vista del mio sviluppo letterario, dunque rimaniamo con “Stowaway”.

Nell’estate del ’39 avevo già ottenuto un qualche successo e così, incoraggiato, rimisi mano a “Stowaway” e lo corressi un pochino, quel tanto che mi spinse a riproporlo a Thrilling Wonder Stories . Senza dubbio confidavo sul fatto che la mia fresca “fama” gli avrebbe spinti a rileggerlo e considerarlo con più attenzione di quando ero uno sconosciuto debuttante, ma mi sbagliavo, fu respinto ancora!

Questo significava la morte per “Stowaway”, se non fosse stato per il fatto che in quei mesi che precedevano la fine degli anni ’30 la Fantascienza stava vivendo un piccolo “boom”. Uscivano nuove pubblicazioni e così verso la fine del 1939 vide la luce una nuova rivista : “Astonishing Stories” venduta al prezzo di dieci centesimi a copia (Astounding costava venti…).

La nuova rivista, e la sua gemella “Super Science Stories” erano edite entrambe da un giovane appassionato di Fantascienza, Frederik Pohl, appena ventenne (aveva solo un mese più di me), che in questo modo fece il suo ingresso in quella che sarebbe stata una luminosa carriera professionale nel nostro campo.

Pohl era un tipo gentile, alto e magro, già tendente alla calvizie, una faccia solenne con la mascella superiore pronunciata che lo faceva sembrare un coniglio quando rideva. A causa di problemi economici aveva dovuto lasciare il college, ma era assai più brillante e acculturato di tanti laureati che conosco.

Pohl era anche un mio amico (e lo è ancora) ed è quello che ha contribuito alla mia carriera letteraria più di qualsiasi altro, Campbell a parte naturalmente. Aveva letto tutti i miei racconti lodandoli e adesso era in disperato bisogno di storie a basso costo per le sue nuove riviste.

Così mi chiese di rileggere i miei manoscritti, e ne scelse uno da pubblicare sul primo numero. Poi, Il 17 novembre 1939,  a circa un anno e mezzo dalla sua creazione “Stowaway” fu selezionato da Pohl per la pubblicazione sul secondo numero di Astonishing. Frederik, che aveva il vizio di cambiare i titoli, gli affibbiò “The Callistan Menace” e fu così che la storia fu pubblicata.

Frederik Pohl

Tutto qui, questa mia seconda storia è quella più antica ad esser stata pubblicata professionalmente. Cari lettori potrete giudicare voi stessi se le critiche di John Campbell furono troppo benigne e se si sbagliava predicendomi una carriera da scrittore sulla base di questo racconto.

“The Callistan Menace” è qui pubblicata esattamente come apparve sulla rivista eccetto per qualche correzione tipografica.

Isaac Asimov