Luce.
Improvvisamene
tutto divenne di un bianco accecante e quasi ipnotico, non riusciva a
distinguere né ombre e né colori e tanto meno il resto dell’ambiente
circostante che comunque, di primo impatto, giudicò trattarsi di un
luogo al chiuso.
Cercò di mettere la
sua vista a fuoco ma neanche quello non gli fu temporaneamente possibile
almeno fino al momento in cui qualcuno non decise finalmente di
abbassare l’intensità di quella sorgente luminosa puntata sul suo volto.
- Daneel ?
Una voce maschile dal tono deciso lo
destò da uno strano stato di torpore. Aveva ancora gli occhi fissi,
quasi non fosse sicuro di averla udita realmente, la testa immobile e le
braccia dritte lungo il corpo. Accennò un leggero movimento della dita
di una mano avendo così modo di tastare la superficie morbida su cui
giaceva.
-
Puoi sentirmi ? – ripeté ancora quella
voce.
-
Si posso sentirvi. – rispose
automaticamente, con tono freddo.
Distaccò gli occhi dalla luce, ora più
flebile, e ruotò gli occhi prima a destra e poi a sinistra, si rese ben
presto conto di trovarsi disteso su di un letto, in quella che sembrava
essere una stanza piena di attrezzature, un laboratorio per la
precisione, in presenza di un tizio che con aria quasi divertita lo
fissava da un lato del letto mentre maneggiava alcuni strumenti.
-
Ha aperto gli occhi. – disse il tizio,
rivolgendosi ad un’altra persona posta al di fuori del suo campo visivo.
– Riesci a comprendere le mie parole, Daneel ?
Seguì con gli occhi quella persona
mentre si spostava dall’altro lato del letto.
-
Si, comprendo bene.
-
Ottimo.
L’uomo si avvicinò con aria meditabonda,
gli posò una mano sul volto e gli puntò uno strumento che emetteva una
luce verde nella cornea del suo occhio destro.
- Adesso dimmi, Daneel, come ti senti ?
- Opero secondo i normali parametri di
funzionamento, signore.
-
Hai sentito! – disse l’uomo, rivolto
verso l’interlocutore che non riusciva a vedere. – Questa è la risposta
tipica di ogni robot dotato di un cervello positronico con
programmazione standard.